sabato 9 aprile 2016

La democrazia senza morale


Stefano Rodotà La Repubblica dell'8/4/2016


Nel marzo di trentasei anni fa Italo Calvino pubblicava su questo giornale un articolo intitolato “Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti”. Vale la pena di rileggerlo (o leggerlo) non solo per coglierne amaramente i tratti di attualità, ma per chiedersi quale significato possa essere attribuito oggi a parole come “onestà” e “corruzione”. Per cercar di rispondere a questa domanda, bisogna partire dall’articolo 54 della Costituzione, passare poi ad un detto di un giudice della Corte Suprema americana e ad un fulminante pensiero di Ennio Flaiano, per concludere registrando il fatale ritorno dell’accusa di moralismo a chi si ostina a ricordare che senza una forte moralità civile la stessa democrazia si perde.

Quell’articolo della Costituzione dovrebbe ormai essere letto ogni mattina negli uffici pubblici e all’inizio delle lezioni nelle scuole (e, perché no?, delle sedute parlamentari).
Comincia stabilendo che « tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi » . Ma non si ferma a questa affermazione, che potrebbe apparire ovvia. Continua con una prescrizione assai impegnativa: « i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore » . Parola, quest’ultima, che rende immediatamente improponibile la linea difensiva adottata ormai da anni da un ceto politico che, per sfuggire alle proprie responsabilità, si rifugia nelle formule « non vi è nulla di penalmente rilevante » , « non è stata violata alcuna norma amministrativa » . Si cancella così la parte più significativa dell’articolo 54, che ha voluto imporre a chi svolge funzioni pubbliche non solo il rispetto della legalità, ma il più gravoso dovere di comportarsi con disciplina e onore.



Vi è dunque una categoria di cittadini che deve garantire alla società un “ valore aggiunto”, che si manifesta in comportamenti unicamente ispirati all’interesse generale. Non si chiede loro genericamente di essere virtuosi. Tocqueville aveva colto questo punto, mettendo in evidenza che l’onore rileva verso l’esterno, « n’agit qu’en vue du public », mentre «la virtù vive per se stessa e si accontenta della propria testimonianza».   


 Ma da anni si è allargata un’area dove i “servitori dello Stato” si trasformano in servitori di sé stessi, né onorati, né virtuosi. Si è pensato che questo modo d’essere della politica e dell’amministrazione fosse a costo zero. Si è irriso anzi a chi richiamava quell’articolo e, con qualche arroganza, si è sottolineato come quella fosse una norma senza sanzione. Una logica che ha portato a cancellare la responsabilità politica e a ridurre, fin quasi a farla scomparire, la responsabilità amministrativa. Al posto di disciplina e onore si è insediata l’impunità, e si ripresenta la concezione «di una classe politica che si sente intoccabile», come ha opportunamente detto Piero Ignazi. Sì che i rarissimi casi di dimissioni per violato onore vengono quasi presentati come atti eroici, o l’effetto di una sopraffazione, mentre sono semplicemente la doverosa certificazione di un comportamento illegittimo.   (segue)

9 commenti:

  1. Al posto di disciplina e onore si è insediata l’impunità, e si ripresenta la concezione «di una classe politica che si sente intoccabile»
    L'arroganza del potere che si declina nelle tante piccole arroganze incontrabili nel quotidiano.

    Forse "meritiamo" questa classe politica che "ci somiglia".

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  2. ... zero senso civico, non solo per una parte consistente di cittadini ma anche (soprattutto) tra quelli che "dovrebbero" servire gli interessi superiori, ossia l'Italia ...

    Camosciobianco

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  3. Berica, Camoscio
    è un dubbio annoso quello che mi porto addosso: e cioè se non spetterebbe a chi sta 'su' educare, dare l'esempio ecc. a chi sta 'giù'?
    io non mi sento di 'meritare' la classe politica che abbiamo. Ma forse perché ho avuto dei buoni esempi, personali familiari, ma soprattutto pubblici: quando cioè c'era ancora chi in politica parlava di questione morale. uno a caso Enrico Berlinguer. Ma che colpa hanno, ad esempio, i giovani di adesso cresciuti a Berlusconi, mediaset e ora PD?..

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    1. I giovani stanno tornando nelle piazze e fanno politica fuori dalle istituzioni, nelle realtà autorganizzate. Almeno alcuni di loro.
      Non sono delusi, credo, ma disincantati e non si aspettano niente non solo dai politici, ma anche da tutta la nostra generazione.
      Ciao!

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  4. Abbiamo perso il tram quando Rodotà non è stato eletto Presidente della Repubblica.
    Ciao.
    Cristiana

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  5. Siamo tutti o quasi contro la classe politica che dovrebbe governarci,dimenticando che questi personaggi che godono del titolo di Onorevoli nno sono arrivati nelle stanze dei bottoni con un colpo di stato, gli abbiamo eletti noi e dopo ventanni trovo ancora degli italioti che plaudono a personaggi come Berlusconi o Mastella tanto per fare qualche nome e dimenticano che la Meloni,oggi sulla cresta dell'onda era Camerata di un certo Alemanno il padre della parentopoli romana.
    Ciao,fulvio
    Ciao,fulvio

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